Gilberto Colombo, o della leggerezza.
"GILCO" è un nome che suona familiare a tutti gli appassionati di automobilismo
sportivo, un marchio che per tutti gli anni Cinquanta fece parte di un'élite
industriale: quella costellazione di aziende che animò il momento più ricco di
soddisfazioni della prima attività agonistica della Ferrari, e la vide
raggiungere il successo internazionale sui circuiti e sul mercato. Ma, al di là
del pur fondamentale contributo che rappresenta nella storia dell'automobilismo
sportivo del dopoguerra, GILCO è soprattutto un marchio che identifica un modo
di progettare e costruire, una concezione dell'attività produttiva che si
rivela, alla distanza, un tratto caratteristico dell'industria italiana: una
mistura di iniziativa innovatrice nel proporre soluzioni tecnologiche inedite
e di agilità nell'utilizzare strutture produttive ridotte ma specializzate.
La GILCO costituisce un caso emblematico di questa commistione di inventiva
e agilità: la "leggerezza strutturale" non è solo il concetto ingegneristico
che costituì la sua ragione d'essere come industria, ma anche - si potrebbe
dire - la componente essenziale della sua fisionomia come impresa.
La GILCO nasce infatti come laboratorio specializzato (poco spazio, pochi
tecnici appartenenti ad un'elité operaia dotata di capacità artigianali nelle
operazioni manuali) accanto all'azienda paterna, la A.L.Colombo.
GILCO vuole dare uno sbocco nuovo a una produzione (quella di tubi d'acciaio)
che aveva identificato fin da prima della guerra nella differenzazione delle
applicazioni una delle strade di sviluppo più promettenti. Ai tubi per i
mobili razionalisti si affiancavano, nella tradizione aziendale, i tubi per
i telai da bicicletta; la produzione bellica aveva messo in contatto
l'azienda con le tecnologie aeronautiche; ora, nel momento della ricostruzione
e della ripresa, un campo nuovo si prospettava particolarmente favorevole:
la produzione di telai automobilistici sportivi avrebbe costituito una
occasione di espansione di questo patrimonio di cultura industriale.
Ma per dare ragione di questa scelta occorre ricostruire, dietro alla sigla GILCO,
il nome completo di Gilberto Colombo, e la sua personalità di progettista.
Nonostante le realizzazioni che gli diedero la fama di tecnico raffinato
nel mondo dell'automobile, nel caso di Gilberto Colombo la parola "macchina"
ha un senso ben più ampio, più vicino a quello dell'ingegneria rinascimentale
che non a quello della tecnologia ottocentesca: macchina è tutto ciò che
organizza la materia in funzione di uno scopo, tutto ciò che è costruzione,
risoluzione con mezzi artificiali di problemi posti all'attività umana
dalle condizioni naturali: far correre più velocemente un'automobile da corsa,
utilizzare meglio il vento in un'imbarcazione, ma anche costruire una casa
oppure - con un salto netto di scala - studiare il manubrio di una bicicletta
che possa essere impugnato in modi diversi.
Questo modo aperto di percorrere ogni dimensione della tecnica è anche
l'aspetto che fa di Gilberto Colombo un progettista nel senso pieno della
parola: l'altra caratteristica di primo piano del suo lavoro è la capacità
di risalire, per risolvere il singolo problema tecnico, all'insieme del
prodotto finale. Il telaio dell'automobile non è concepibile senza un'idea
di come apparirà la vettura finita, la questione non sta solo nel risolvere
un problema di rigidità in presenza di forti sollecitazioni o di aderenza
delle ruote in condizioni critiche; sullo sfondo c'è sempre un'immagine
complessiva, anche estetica, di come sarà l'intera auto che nascerà intorno
a quel telaio. E' per questa sua consapevolezza dell'importanza fondamentale
dell'insieme del prodotto, oltre che per la sua capacità di tecnico, che
Gilberto Colombo divenne negli anni Cinquanta uno dei protagonisti della
rinascita di una tipologia automobilistica: la Gran Turismo, una macchina
in cui si univano il massimo di raffinatezza tecnologica e il massimo di
cura dell'immagine.
Il lavoro della GILCO si inserisce così a pieno titolo
in entrambi gli aspetti che la produzione dell'automobile assume in quegli
anni: momento di punta della produzione industriale e al tempo stesso
simbolo del "miracolo economico" nell'immaginario popolare. La produzione
della GILCO coincide infatti con gli anni dell'esplosione quantitativa
dell'auto: come ricorda Gianfranco Petrillo (cfr. "La capitale del
miracolo", Milano, Franco Angeli, 1992, p.55) nel 1960 nella provincia
di Milano erano immatricolate 221.597 autovetture, contro le 49.280
del 1950. Ma il boom dell'auto era anche culturale: in quei dieci anni
l'auto in Italia acquisì una straordinaria carica mitica in gran parte
grazie all'affermarsi della tipologia di auto veloce, lussuosa,
tecnicamente d'avanguardia nella cui definizione l'attività di Gilberto
Colombo ebbe tanta parte. E conferire significato culturale alle soluzioni
tecniche è la sostanza del design.
Nel panorama del design italiano di quegli anni, che è opera di architetti
(cioé di artisti che si confrontano con la tecnologia), il design di
Gilberto Colombo proviene dalla direzione opposta: parte dalla tecnologia
e ne scopre le potenzialità estetiche, rivelandosi anche in questo, agli
occhi di un osservatore di oggi, un fenomeno in qualche modo vicino a
posizioni che l'architettura e il design contemporanei (soprattutto negli
Stati Uniti e in Germania) riaffermano con sicurezza.
Questa panoramica dei progetti di Gilberto Colombo, pur toccando tutti
i più significativi campi della sua attività dal 1946 fino alla fine degli
anni Ottanta, è ben lontana dall'esaurire la gamma completa dei suoi
interventi. Vuole costituire un primo tentativo di ordinamento del
materiale d'archivio meticolosamente raccolto e organizzato da Martino
Colombo, con uno sforzo di ricerca che si è esercitato in particolare
nel collegare i disegni tecnici, gli abbozzi e gli appunti progettuali
(così suggestivi e numerosi, e spesso così difficili da riferire a un
singolo prodotto) con le sue effettive realizzazioni. Un ordinamento
che restituisce i lineamenti generali dell'attività di Gilberto Colombo,
ma con l'obiettivo di favorire un ulteriore lavoro di approfondimento
dei suoi contributi alla storia del progetto italiano del dopoguerra:
altri materiali sicuramente sono ancora conservati da appassionati e
collezionisti, e attendono si essere collocati nella giusta
prospettiva per rivelare tutto il loro valore.
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